
Il conferimento di criptovalute nel capitale societario è un argomento molto rilevante ma ancora scarsamente approfondito in Italia.
Con le altre analisi in materia di criptovalute è stato fornito un quadro utile a comprendere sia le molteplici caratteristiche informatiche ed economiche che tali valori programmabili possono assumere, sia – di conseguenza – le molteplici problematiche di carattere giuridico che possono derivare dalla loro adozione in luogo di valori cc. dd. a corso forzoso (es. euro e dollaro).
In questo approfondimento ci si soffermerà sul tema del conferimento di criptovalute nel capitale societario, prendendo le mosse da due importanti sentenze – riferite precisamente alla nota criptovaluta OneCoin – al fine estrapolarne un principio di diritto valido in generale.
SOMMARIO
1. OneCoin
2. Principi generali in materia di conferimento nel capitale societario
3. Conferimento di OneCoin nel capitale societario
4. Decisione del Tribunale di Brescia
5. Decisione in Appello
6. Commento
6.1 Condizioni per il conferimento di criptovalute nel capitale societario
6.2 Mercato e conversione immediata delle criptovalute
6.3 Valutazione economica di criptovalute ed NFT
6.4 Esecuzione forzata
NOTE
1. OneCoin
Per comprendere il commento alle sentenze in oggetto, è anzitutto indispensabile contestualizzarle.
OneCoin era una piattaforma di servizi informativi sull’uso e la gestione delle criptovalute, attiva dal 2014. Il suo funzionamento era incentrato sul c. d. multi level marketing, giacché prevedeva il pagamento di una commissione a tutti gli utenti che avessero convinto altri ad iscriversi alla piattaforma e acquistare i “prodotti educativi”.
In rapporto al valore speso (variabile fra 100,00 $ e 120.000 $) a ciascun utente veniva conferito un ammontare di OneCoin, che poteva essere scambiato con altre cripto esclusivamente all’interno della Piattaforma stessa e quindi secondo i valori di cambio da essa esclusivamente indicati.
Il sistema dunque, presentava elementi del tutto simili a quelli di un classico schema ponzi piramidale e, invero, non era nemmeno possibile definire OneCoin una criptovaluta, in quanto il Distributed Ledger su cui essa era implementata era del tutto centralizzato e privato.
La prospettazione da parte della società agli utenti di rendimenti fissi, dunque, risultava del tutto fuorviante giacché legata esclusivamente alle nuove iscrizioni. Nel momento in cui esse fossero cessate, lo avrebbero fatto anche i rendimenti, e l’investimento, in ragione della sua estremamente limitata capacità di cambio, sarebbe andato totalmente perduto.
Ciò aveva indotto le autorità di diversi paesi ad allertare i propri risparmiatori in merito ai rischi di OneCoin, compresa la Consob, su avviso dell’Mfsa [1].
Di lì a breve, l’Antitrust italiana avrebbe altresì irrogato una sanzione di 2,6 milioni di euro alla società One Life Network Ltd per le attività ingannevoli legate alla promozione della moneta virtuale OneCoin [2].
In seguito a ricorso presso la giustizia amministrativa, la Società era riuscita ad ottenere la sospensione del pagamento. Precisamente, il Consiglio di Stato aveva deciso (RG 92 del 2018) che il divieto di continuazione e diffusione della pratica disposto dall’AGCM rimanesse attivo e fosse sospeso esclusivamente il pagamento della sanzione, fino a quando il TAR non avesse deciso “nel merito” dei ricorsi pendenti.
Avendo però la Società, per mezzo del suo blog OneLife, offerto ancora una volta agli utenti una prospettazione tendenziosa di tutta la vicenda, ossia che il mercato italiano era nuovamente aperto, il Centro Tutela Consumatori Utenti dell’Alto Adige aveva inoltrato nuove segnalazioni all’AGCM ed alla Procura [3].
Mentre in Italia si attendeva che la lenta giustizia facesse il suo corso, il Dipartimento di Giustizia statunitense arrestava Konstantin Ignatov, uno di fondatori del progetto, con l’accusa di cospirazione per frode telematica, e la sorella maggiore, Ruja Ignatova, per riciclaggio di denaro sporco e frode telematica e di titoli [4].
Di lì a breve i due ricevettero pesanti sanzioni penali e civili che segnarono la definitiva conclusione della vicenda OneCoin a livello internazionale.
2. Principi generali in materia di conferimenti nel capitale societario
Prima di addentrarsi nell’esame del caso, occorre altresì chiarire che nel nostro ordinamento i conferimenti coincidono con dei beni apportati da ogni socio alla società per consentire a quest’ultima di esercitare l’attività cui è destinata e raggiungere il proprio scopo.
Ogni socio è tenuto a conferire il proprio apporto alla società, che può consistere, in generale, in qualsiasi bene suscettibile di valutazione economica, come ad esempio:
- denaro
- crediti vantati verso terzi
- proprietà o diritti di godimento su beni mobili, immobili o aziende
- licenze su beni immateriali (ad es. brevetti)
- partecipazioni in altre società
- prestazioni d’opera o servizi
Per quanto concerne le criptovalute, sia in Italia sia all’estero è ampiamente diffusa la legittimazione di una persona giuridica a possederle e scambiarle.
Nel nostro ordinamento, in particolare, le criptovalute sono state considerate dall’Agenzia delle Entrate (con la Risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2016), come una “tipologia di moneta “virtuale” utilizzata come “moneta” alternativa, la cui circolazione si fonda su un principio di accettazione volontaria da parte degli operatori privati”.
3. Conferimento di OneCoin nel capitale societario
Nel 2018, una Società bresciana aveva tentato di aumentare il proprio capitale sociale da € 10.000,00 a € 1.410.000,00 €, deliberando il conferimento, da parte di due soci, di opere d’arte e n. 35.109,56 unità della criptovaluta denominata OneCoin, del valore stimato di 714.000,00 €
Con nota del 30 aprile 2018, il Notaio comunicava il proprio diniego all’iscrizione nel registro delle imprese della suddetta delibera, ritenendo che le criptovalute (in generale), per la loro volatilità, non consentano:
- né di stimare con esattezza quanto venga effettivamente conferito;
- né addirittura l’effettività del conferimento.
La Società faceva quindi ricorso al Tribunale di Brescia, contro il rifiuto del Notaio, sostenendo che:
- la perizia prodotta in sede di conferimento aveva confermato sia il valore del bene (criptovaluta OneCoin), sia il trasferimento della sua disponibilità in capo alla Società mediante le credenziali di accesso (“transaction password”) da parte del socio conferente;
- le criptovalute (in generale), sono un bene suscettibile di valutazione economica, tenuto conto della nota con la quale l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il loro possesso deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi (quadro RW) [5];
- potendo essere conferiti (in S.r.l.) [6] sia crediti, sia taluni beni immateriali (ad esempio i diritti di proprietà industriale), non vi sarebbe ragione di escludere il conferimento di criptovalute;
- nel caso di specie, la criptovaluta OneCoin:
- era scambiata in UN mercato non regolamentato ed era soggetta a valutazione da parte di operatori specializzati;
- il livello di diffusione degli Onecoin confermava che si trattasse di mezzo di pagamento sufficientemente riconosciuto e accettato anche dagli esercenti.
4. Decisione del Tribunale di Brescia
Durante l’udienza emergeva che:
- OneCoin non era presente su alcun exchange e da ciò derivava l’impossibilità di fare affidamento su prezzi attendibili determinati dalle dinamiche di mercato;
- l’unico “mercato” nel quale OneCoin operava era costituito da una piattaforma dedicata alla fornitura di beni e servizi, riconducibile ai medesimi soggetti ideatori della criptovaluta (nel cui ambito ristretto fungeva da mezzo di pagamento accettato).
Ne derivava un carattere autoreferenziale dell’elemento conferito incompatibile con il livello di diffusione e pubblicità di cui deve essere dotata una moneta virtuale che aspira a detenere presenza effettiva sul mercato;
- dalla perizia di stima non risultava essere stato applicato alcun criterio di valutazione autonomo da parte dell’esperto per la determinazione del valore degli OneCoin (come ben avrebbe potuto essere l’applicazione di una media utile ad ottenere un effetto stabilizzatore del prezzo).
Ne derivava che egli si fosse limitato a prestare incondizionata adesione all’ultimo e più alto valore indicato sul sito riconducibile alla stessa Società emittente;
- nella perizia mancava qualunque riferimento alle modalità di esecuzione di un ipotetico pignoramento degli OneCoin conferiti;
Evidenziando preliminarmente che
“…in questa sede non è messa in discussione l’idoneità della categoria di beni rappresentata dalle c.d. cripto valute a costituire elemento attivo idoneo al conferimento nel capitale di una s.r.l.”, ma lo specifico bene conferito nella Società, il Collegio giudicante, avuto riguardo alla funzione “storica” primaria del capitale sociale, ossia di garanzia nei confronti del creditore, individuava anzitutto i requisiti fondamentali che un qualunque bene deve avere per essere oggetto di conferimento:
- idoneità ad essere oggetto di valutazione economica, in un dato momento storico;
- esistenza di un mercato del bene in questione, rilevante sia sotto il profilo della valutazione sia sotto quello della convertibilità in denaro contante;
2. idoneità ad essere oggetto di forme di esecuzione forzata per ripagare i creditori.
Applicandoli al caso di specie, rilevava che:
- OneCoin sarebbe “una moneta virtuale ancora in fase sostanzialmente embrionale (…) che, allo stato, non presenta i requisiti minimi per poter essere assimilata a un bene suscettibile in concreto di una valutazione economica attendibile”, (di cui all’art. 2464 c. c.);
- l’esistenza di dispositivi di sicurezza ad elevato contenuto tecnologico (cc.dd. hardware wallet), potrebbe di fatto rendere impossibile l’espropriazione senza il consenso e la collaborazione spontanea del debitore e nella perizia non era stata minimamente presa in considerazione tale eventualità.
Pertanto, il Tribunale di Brescia rigettava il ricorso della Società.
Nell’esaminare il ricorso avverso la decisione del Tribunale, la Corte d’Appello di Brescia ha ritenuto invece di doversi anzitutto pronunciare sull’idoneità delle criptovalute in generale a costituire oggetto di un conferimento nel capitale di società.
La corte ha rilevato che:
- l’art. 2464 c. c. prevede come normale il conferimento in denaro, consentendo tuttavia anche quello in natura, e cioè di beni, crediti o altri elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica, sulla base di una perizia di stima disciplinata dal successivo art. 2465 c. c., ovviamente non richiesta per il denaro, la cui identificazione è nel codice fornita da dall’art. 1277, col richiamo alla moneta avente corso legale nello Stato al momento del pagamento;
- la criptovaluta ha una funzione di pagamento, in ragione della quale, su questo piano, deve essere assimilata al denaro, mentre su quello strutturale, presenta caratteristiche tipiche dei beni mobili (in ragione della necessità di credenziali per l’utilizzo elettronico e commerciale).
Come l’euro, infatti, essa serve per fare acquisti, sia pure accettati non universalmente ma in un mercato limitato, ed in tale ambito opera quale marcatore (ossia quale contropartita), in altri termini valore di scambio, dei beni e servizi, o altre utilità ivi oggetto di contrattazione, in definitiva come moneta.
Presentando in modo preponderante le caratteristiche della moneta e non già dei beni negoziabili, la criptovaluta non può essere sottoposta alle procedure di stima tipicamente riservate a questi ultimi ex. artt. 2464 e 2465 c. c.. Costituirebbe un paradosso, cioè, attribuire valore di scambio ad una entità che costituisce essa stessa elemento di scambio (contropartita) nella negoziazione.
- non è dato conoscere, allo stato, un sistema di cambio per la “criptovaluta”, che sia stabile ed agevolmente verificabile, come per le monete aventi corso legale in altri Stati ($, €, Yen ecc.).
Poiché tali elementi, impediscono di assegnare alla criptovaluta un certo valore in un dato momento storico, la Corte d’Appello di Brescia, seppur con differente motivazione, ha confermato il rigetto del ricorso della Società ex art. 2436 c. c..
6. Commento
Ad avviso degli scriventi la posizione assunta dal Tribunale di Brescia risulta ben più condivisibile di quella della Corte d’Appello del medesimo distretto.
Non può trascurarsi, infatti, che ogni criptovaluta esistente si innesta in un sistema economico globale caratterizzato dall’uso in via principale di valute a corso forzoso (cc.dd. fiat), le quali costituiscono pertanto il criterio di valutazione di pressoché ogni bene d’interesse per l’uomo.
Giova in particolare ricordare che gli strumenti e i metodi per entrare in possesso di criptovalute sono:
- l’accettazione come metodo di pagamento in luogo della valuta fiat;
- la validazione delle transazioni (attività per la quale è possibile ottenere sia una commissione per la singola transazione validata, sia una reward ben più ingente per la validazione di un intero blocco di transazioni)
- il marketing remunerativo nella forma:
- del c.d. airdrop ossia la distribuzione di criptovalute per implementarne l’adozione e, conseguentemente, il valore di scambio sul mercato (presenta elementi di rischio per l’utente poiché potrebbe essere richieste informazioni personali attraverso le procedure di identificazione KYC. Di conseguenza è necessario informarsi dettagliatamente sulla legittimità della piattaforma e sui termini e le condizioni di relativo utilizzo);
- dei corsi di formazione sulla natura e il funzionamento delle criptovalute (Coinbase, ad esempio, li effettua attraverso la sezione Coinbase Earn. Con dei brevi video, infatti, l’utente ha la possibilità di apprendere gratuitamente cosa sono e come funzionano le cryptocurrency DAI, Eos, XLM, Zcash (ZEC), Basic Attention Token (BAT) e ZRX. Come spiegato compiutamente in altro articolo, al termine dei corsi l’utente deve rispondere a delle semplici domande e, nel caso siano corrette, viene remunerato con un certo ammontare delle varie crypto. Per iscriversi e ricevere l’accredito è ovviamente necessario, preliminarmente, aver attivato un account Coinbase).
- lo scambio con valute fiat sulle cc.dd. “exchange platforms”, società come Binance, Bitstamp, Coinbase e Kraken (ne esistono anche nel dark web);
- l’investimento sul progetto in fase di private sale della criptovaluta o in caso di offerta al pubblico mediante ICO, STO e IEO [7].
Le valutazioni della Corte d’Appello di Brescia, pertanto, risulterebbero idonee esclusivamente qualora una sola criptovaluta, es. Bitcoin, divenisse il valore di scambio accettato globalmente, giacché non sarebbe possibile attribuire valore ad una entità che costituirebbe essa stessa elemento di scambio (contropartita) nella negoziazione.
6.1 Condizioni per il conferimento di criptovalute nel capitale societario
Venendo quindi al Decreto del Tribunale di Brescia, nonostante si sia concentrato su un caso specifico, ossia quello del conferimento della criptovaluta OneCoin, è possibile estrapolarne delle linee guida.
In particolare, il Tribunale ha precisato che un bene può essere conferito nel capitale di una società, purché sia:
1. sottoponibile a valutazione economica, in un dato momento storico;
2. immediatamente convertibile in valuta fiat;
3. sottoponibile a forme di esecuzione forzata senza il consenso del debitore.
Pertanto, riguardo alle criptovalute sono necessari:
relativamente ai punti 1 e 2, la sussistenza di un mercato di riferimento ampio sia per numero di operatori (cc. dd. exchange) sia di utenti, e da essi liberamente accessibile, dunque sufficientemente attendibile per effettuare:
- la valutazione economica (dovendosi applicare una media a quelle aventi valore oscillante);
- la conversione immediata in valuta fiat;
relativamente al punto 3, la predisposizione di soluzioni tecniche / organizzative che permettano l’applicazione di procedure di esecuzione forzata indipendentemente dall’assenso del debitore.
6.2 Mercato e conversione immediata delle criptovalute
Le società cui si è accennato in precedenza, Binance, Bitstamp, Coinbase e Kraken, comunemente note come exchange platforms, sono le principali attualmente specializzate nella conversione di criptovalute in valute fiat o altre criptovalute.
Il numero delle criptovalute è aumentato esponenzialmente col tempo.
In seguito al profondo dump di Bitcoin del 2017/2018 e al conseguente tracollo di molte coin e token con minore capitalizzazione di mercato, gli exchange hanno adottato le linee guida interne più serie per valutare quali sarebbero state listate in futuro.
Le criptovalute, infatti, non hanno tutte lo stesso peso ed affidabilità sul mercato e da ciò deriva che non tutte siano scambiabili direttamente con valuta ordinaria (euro o dollaro U.S.A.), ma solo quelle con la più alta capitalizzazione di mercato.
Più raramente è possibile rinvenire exchange che ammettono lo scambio diretto in fiat di criptovalute dalla minore capitalizzazione come Monero, EOS, ZCash e Stellar Lumens.
Per ottenerle, infatti, nella maggior parte dei casi è necessario aver preliminarmente acquistato criptovalute come Bitcoin o Ethereum.
È evidente che tutto ciò debba essere tenuto in debita considerazione dall’esperto incaricato di effettuare una perizia per il conferimento di una certa criptovaluta nel capitale societario, giacché può incidere pesantemente sulla possibilità di ottenerne la conversione in valuta fiat.
6.3 Valutazione economica di criptovalute ed NFT
Una criptovaluta può essere asset backed o no, ossia ancorata o meno ad un altro strumento economico.
- nel primo caso il collaterale potrebbe essere valuta avente corso legale come il dollaro americano per il Tether (ipotesi per cui vengono generalmente definite stablecoin[8]) o un bene come l’oro, i diamanti, l’argento ecc.;
- nel secondo caso, invece, il valore della criptovaluta dipende esclusivamente dalla legge della domanda e dell’offerta, ossia dal rapporto fra disponibilità sul mercato e numero di acquirenti (come per Bitcoin).
Una criptovaluta potrebbe essere emessa in numero limitato o illimitato:
- nel primo caso le criptovalute presentano spesso un andamento valoriale deflattivo tipico dei beni limitati (un esempio tipico è Bitcoin, che per questo viene associato spesso all’oro);
- alla seconda categoria appartengono solitamente le criptovalute dalla governance meno decentralizzata, in quanto è l’ente o consorzio di enti che gestisce il protocollo a farsi garante della stabilità del loro valore (come nel caso di Tether). Tuttavia, ne esistono anche di decentralizzate come Ethereum. Ne deriva, che il valore di queste criptovalute è dipendente esclusivamente dalla loro utilità, ossia dalla loro funzione anche rispetto a possibili progetti derivati, dall’utilizzabilità nel presente e per il futuro che la comunità adottante gli riconosce e dalla fiducia nella loro sicurezza ed implementazione (in altri termini da quello che genericamente viene definito “consenso”).
Infine, una criptovaluta potrebbe essere fungibile o infungibile, nella misura in cui le singole unità emesse presentino cioè tutte le medesime caratteristiche o, invece, caratteristiche uniche (un esempio di queste ultime sono i cc. dd. CryptoKitties) [9].
A ciò deve aggiungersi che, all’attuale stato di regolamentazione del mercato, ciascuna delle exchange platfom esistenti, indica differenti valori delle criptovalute, con divari spesso talmente rilevanti che l’azione speculativa potrebbe essere condotta anche solo attraverso il passaggio da un operatore all’altro.
L’applicazione di una media fra i prezzi indicati dalle maggiori piattaforme, dunque, risulta uno step imprescindibile per una corretta perizia di stima di criptovalute dal valore oscillante.
Più complessa appare la questione relativa al conferimento degli NFT (non fungible token).
Stante l’assoluta novità della materia, infatti, non solo non esistono al momento interpelli, pareri o sentenze che possano confermare o negare l’ammissibilità di un conferimento di NFT in una società, ossia (riassuntivamente), ma non è presente neppure una definizione normativa degli stessi.
Posta la necessità, in ogni caso, di accompagnare il conferimento con una perizia di stima giurata, come previsto dal Codice Civile, che inquadri correttamente l’NFT sotto il profilo giuridico / economico sulla base del bene da esso rappresentato, si ritiene possano essere conferiti in una società.
Quanto sopra esposto in materia di conferimenti, inoltre, si ritiene possa trovare applicazione, per analogia, anche ai finanziamenti soci disciplinati agli artt. 2467 s.s del Codice Civile, con la naturale conseguenza che i soci potranno finanziare la società tramite criptovaluta o NFT.
6.4 Esecuzione forzata
Per poter individuare le soluzioni tecnico organizzative che una Società dovrebbe predisporre per garantire l’aggredibilità del debito indipendentemente dalla propria volontà, è indispensabile anzitutto avere un quadro ben chiaro degli attuali sistemi di gestione delle criptovalute, ossia i portafogli elettronici detti wallet.
Come approfonditamente esplicato in altro articolo, le criptovalute esistono esclusivamente sotto forma di records alfanumerici di transazioni.
Essi indicano:
- l’input ossia l’indirizzo del wallet dal quale provengono;
- la quantità di criptovalute movimentate (saldo);
- l’output ossia l’indirizzo del wallet di destinazione.
Il wallet contiene l’indirizzo che identifica in maniera univoca l’utilizzatore (ossia una chiave pubblica simile ad un IBAN (es.: 17muSN5ZrukVTvyVh), alla quale è legata matematicamente ed indissolubilmente una chiave privata che permette di spendere le proprie criptovalute e che, dunque, va mantenuta segreta.
Il wallet, accessibile con password, è utilizzabile non solo come un consueto conto, dunque inserendo le proprie credenziali sui siti di e-commerce che accettano pagamenti in valuta digitale, ma altresì attraverso un pratico QR code scansionabile.
Più precisamente, al momento di ricevere una somma sul proprio wallet, è necessario generare un nuovo indirizzo pubblico, al quale corrisponde come si è detto una chiave privata.
I records che confluiscono sul conto elettronico non vengono riuniti in un formato unico, con la conseguenza che, al momento di effettuare un pagamento, l’utente dovrà decidere quale di essi utilizzare.
Solo qualora la somma da versare dovesse essere maggiore a quella contenuta nel singolo record, il software attingerà anche dagli altri.
Il trasferimento di valore fra due wallet è regolato da un processo di firma digitale ancorato all’uso della chiave privata.
Più precisamente, al momento di trasferire una determinata somma, il client la firma con la corrispettiva chiave privata e la invia all’indirizzo che il destinatario ha generato appositamente per l’occasione.
La transazione viene quindi inserita nel Distributed Ledgeraffinché l’intera rete possa verificare che quelle criptovalute siano state spese da un determinato wallet.
Si distinguono:
- hardware wallet: dispositivi specifici che permettono, in modalità off-line, sia di archiviare al proprio interno le chiavi private sia di firmare le proprie transazioni, garantendo dunque una maggior protezione dalle aggressioni tipiche della Rete;
- software wallet (es. Electrum): installabili su personal computer o altro genere di dispositivi come supporti esterni;
- web wallet: creabili online su appositi portali noti come wallet providers (es. MyEtherWallet); quest’ultima soluzione, se da un lato risulta molto agevole sotto il profilo gestionale poiché non implica per l’utente il possesso di particolari conoscenze informatiche se non l’adozione delle misure di sicurezza idonee ad evitare intrusioni non autorizzate (autenticazione a due fattori, password complessa e diversa da quella usata per altro servizio, uso di un antivirus aggiornato ecc.), ed esclude i rischi derivanti dal detenere presso sé stessi dei valori di scambio (es. furti, rapine ed estorsioni), dall’altro richiede grande fiducia nel provider.
Per le loro caratteristiche, i web wallet sono del tutto assimilabili ai cc.dd. account exchange, ossia i conti aperti sulle piattaforme per l’acquisto e lo scambio di criptovalute, cui si accennerà in seguito.
In ogni caso, dato che il wallet si sostanzia in un semplice file contenente records di transazioni, qualora venisse compromesso si perderebbe tutto il credito in esso contenuto.
E’ bene precisare altresì che nella maggior parte dei casi una criptovaluta adotta specifici protocolli informatici che la rendono idonea ad essere ricevuta solo da wallet ad hoc per essa.
In altri termini, più chiaramente, l’invio ad esempio di Bitcoin ad un wallet Ripple determinerebbe l’irreversibile perdita delle criptovalute.
Alla luce di tali considerazioni, le soluzioni che potrebbero garantire sicurezza del conferimento e, al contempo, la sua eventuale futura aggredibilità indipendentemente dalla volontà dell’esecutato, potrebbero essere le seguenti:
- deposito dell’hardware wallet, contenente le criptovalute conferite, e delle relative credenziali di accesso in una cassetta di sicurezza di istituto bancario;
- deposito delle criptovalute costituenti il capitale societario in un custodial wallet / account exchange sottoposto alle medesima giurisdizione della società.
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NOTE
[1] L’autorità di vigilanza di Malta (Malta Financial Services Authority – Mfsa) aveva segnalato che tramite il web alcuni soggetti stavano offrendo ai risparmiatori di investire in una moneta virtuale denominata OneCoin non emessa da alcuna banca centrale o da pubbliche autorità. Al riguardo l’Mfsa segnalava che anche i promotori di OneCoin non erano regolamentati o autorizzati dall’autorità maltese
Pubblicata in “Consob Informa” n. 16/2017 del 2 maggio 2017
[2] Cfr. compiutamente in CAPPETELLI B. (2017), “OneCoin, multa Antitrust da 2,6 milioni”, IlSole24Ore
Provvedimento dell’Antitrust in pdf (pp. 154 ss)
[3] Cfr. compiutamente in CTCU, “Interpretata troppo estensivamente la sentenza del Consiglio di Stato, CTCU: nuove segnalazioni ad AGCM e Procura”
[5] Cfr. nota 2
[6] L’art. 2464 c. c., infatti, dispone che possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica
[7] Cfr. compiutamente in BERTOLINI G. (2019), “CRIPTOVALUTE – Cosa sono”, Crypto Avvocato
[8] Per approfondimenti sulle stablecoin si rimanda a SPAGNUOLO E. (2019), “Stablecoin: come funzionano gli “anti-bitcoin” con un prezzo stabile”, Wired
[9] Cfr. compiutamente in BERTOLINI G., ADAMANTIC SRL (2021), “NFT – Caratteristiche e potenzialità dei non fungible token”, Crypto Avvocato