CRIPTOVALUTE – Francia, Malta e Italia

27 Ottobre 2020 -

Mentre Francia e Malta hanno adottato specifiche normative sulle criptovalute, in affiancamento e/o sostituzione della MiFID II, l’Italia è ancora ferma alla proposta di regolamentazione avanza dalla Consob.

In ogni caso, come si è detto compiutamente in altro approfondimento, il Regolamento adottato dalla Commissione Europea – una volta approvato dopo i passaggi col Parlamento Europeo e col Consiglio – dovrà ritenersi direttamente applicabile, non richiedendo a tal fine normativa nazionale di implementazione e scavalcando anzi ogni eventuale disciplina domestica degli Stati Membri che disciplini gli stessi fenomeni.

Un rapido excursus della disciplina francese e maltese è utile a contestualizzare le linee guida emesse in Italia dalla Consob, che sono state esaminate nell’ultimo paragrafo.

SOMMARIO

1. Francia

2. Malta

3. Italia

NOTE

1. Francia

Nel 2014 la Francia ha adottato una disciplina specifica per i prodotti diversi dagli strumenti finanziari MiFID (denominati “biens divers”). Il 26 ottobre 2017, l’Autorité des marchés financiers (AMF) ha pubblicato un discussion paper sulle ICO e, successivamente, il 22 febbraio 2018, un documento di sintesi delle risposte pervenute ad esito della consultazione del mercato.

Nel suddetto documento, l’Autorità francese ha individuato un approccio regolamentare basato su uno schema di autorizzazione opzionale.

Questa ipotesi prevede che i promotori dell’ICO possano:

  • decidere di richiedere l’autorizzazione all’AMF che rilascerà il visto o
  • non richiedere autorizzazione all’AMF.

In tale prospettiva offerte formalmente non autorizzate non sarebbero vietate, ma dovrebbero, se presentate in Francia, contenere necessariamente un avvertimento che indichi chiaramente l’assenza di visto della AMF [1].

2. Malta

Secondo l’Autorità maltese (MFSA) talune tipologie di offerte sono suscettibili di rientrare nel perimetro delle vigenti normative sui servizi finanziari e, in particolare, della legge sui servizi di investimento (ISA). Tuttavia, numerose altre offerte, poiché non rientravano nel framework normativo esistente, risultavano prive di regolamentazione.

Il 4 luglio 2018, pertanto, il Parlamento ha approvato la nuova legge “AN ACT to regulate the field of Initial Virtual Financial Asset Offerings and Virtual Financial Assets and to make provision for matters ancillary or incidental thereto or connected therewith”.

In sintesi il framework legale maltese prevede che gli operatori effettuino un test per verificare se le criptovalute:

1) siano “virtual token”, ai quali non si applica alcuna regolamentazione del mercato finanziario;

o

2) rientrino nei financial instrument ex MiFID ai quali si applicherebbe la disciplina UE;

o

3) possano essere considerati virtual financial asset ai quali si applicherebbe una nuova e specifica disciplina in termini di offerta (prospetto), market abuse e servizi di investimento. 

3. Italia

Il 5 giugno 2019 si è conclusa la consultazione pubblica in materia di ICO e cripto-attività avviata il 19 marzo dello stesso anno dalla Consob. Il 2 gennaio 2020 è stato pubblicato il rapporto finale.

L’approccio regolamentare adottato dalla Consob è stato condizionato, essenzialmente, da una particolarità normativa domestica che, come esplicato in altro approfondimento, prevede – a fianco delle nozioni euro unitarie di “strumenti finanziari” e di “prodotti di investimento” – una più ampia nozione di “prodotti finanziari”, nell’ambito della quale potevano essere ricompresi anche gli utility tokens.

Ed infatti, sebbene l’elencazione degli strumenti finanziari del testo unico della finanza è tassativa, è  comunque capace di tenere conto delle evoluzioni dei mercati finanziari. 

Ciò è reso possibile sia in virtù dell’ampiezza delle formule utilizzate dal legislatore sia perché è fatta salva la potestà del ministero dell’Economia di individuare nuove categorie di strumenti finanziari. 

Fra essi, fino all’approvazione definitiva del Regolamento della Commissione Europea, ben potrebbero essere ricomprese quindi le criptovalute, in particolare quelle cc.dd. rappresentative di diritti patrimoniali e di proprietà di un determinato asset, con le ordinarie conseguenze giuridiche previste in tali ipotesi (es. obbligo di adeguata informativa alla clientela ecc.).

Questa è stata la strada adottata da Consob per consentire una prima linea di difesa del mercato domestico e degli investitori italiani rispetto ad iniziative che altrimenti sarebbero sfuggite ad ogni controllo, la quale ha suscitato opinioni contrastanti.

Da un lato, infatti, non sono mancate critiche autorevoli[2] poiché “prospettante soluzioni eccessivamente restrittive che mal si conciliano con la natura globale del mercato e che, dunque, potrebbero determinare un danno per l’economia italiana”.

Non può non constatarsi, infatti, che mentre Paesi vicini (Francia, Malta, San Marino, Svizzera) hanno introdotto norme dichiaratamente volte ad attrarre tali fenomeni (pur con molte riserve):

  • le ICO promosse in Italia sono pochissime;
  • le ICO collocate in Italia sono molte;
  • gli exchange principali non sono in Italia.

I punti maggiormente criticati della regolamentazione prospettata da Consob riguardano:

1) la definizione delle cripto-attività quali asset digitali:

  • qualificabili come prodotti finanziari, con l’esclusione degli strumenti finanziari e dei prodotti di investimento quali PRIIP, PRIP e IBIP;
  • finalizzati a investimenti in progetti imprenditoriali;
  • creati, conservati e trasferiti” (unicamente) mediante “tecnologie basate su registri distribuiti” capaci di garantire “l’identificazione del titolare dei diritti relativi agli investimenti sottostanti e incorporati nella cripto-attività”;
  • negoziabili “all’interno di uno o più sistemi di scambio” (exchange), anch’essi oggetto di regolamentazione e vigilanza.

giacché:

  • conduce inevitabilmente l’intero ecosistema crypto verso una visione finanziario-centrica del network trascurando che spesso gli interessi sottesi non sono affatto di natura speculativa;
  • risulta fuorviante giacché per la genericità con cui si è inteso inquadrare i prodotti e gli strumenti finanziari, qualunque oggetto potrebbe essere considerato tale. Il rischio è rilevante in particolare per i cc.dd. token ibridi, ossia quelli che, per le loro caratteristiche di programmazione, hanno molteplici utilità e quindi si prestano più facilmente di altri ad una quotazione e scambio secondari, anche senza il consenso dell’emittente stesso.

In particolare, per effetto della possibile qualificazione di un token come “prodotto finanziario” – a parte l’eventuale applicabilità della disciplina del prospetto ove non ricorrano specifiche ipotesi di esenzione – conseguirebbe la necessità di avvalersi obbligatoriamente di soggetti abilitati tenuti al rispetto di specifici standard comportamentali (ex combinato disposto dell’art. 32 TUF con l’art. 127 Regolamento Intermediari), tutte le volte in cui la loro “promozione e collocamento” avvenga:

(i) anche a clienti non professionali;

(ii) con modalità che configurano l’impiego di “mezzi di comunicazione a distanza”. 

Entrambe condizioni che nella ricorrenza di una ICO risulteranno sempre (e inevitabilmente) soddisfatte.

  • esclude i token non finalizzati a investimenti e quelli non negoziabili sul mercato secondario, che invece spesso sono oggetto di ICO.

2) La regolamentazione delle piattaforme ossia l’intenzione della Consob di:

  • ampliare la gamma delle offerte delle piattaforme di crowdfunding con le cripto-attività;
  • applicare tout court agli operatori di piattaforme di ICO la normativa in materia di crowdfunding;
  • stabilire uno stretto collegamento fra l’offerta di cripto-attività di nuova emissione, realizzata per il tramite di piattaforme vigilate, e il loro successivo accesso a un sistema di scambi dedicato soggetto anch’esso a regolamentazione e vigilanza;

giacché:

  • nonostante le piattaforme di crowdfunding risultino naturalmente preposte a tali attività in ragione della sottoposizione a vigilanza ex Regolamento 18592/2013, tuttavia, si renderanno necessari importanti aggiustamenti riguardanti la gestione dei wallet e l’uso della tecnologia blockchain;
  • la normativa sul crowdfunding presenta peculiarità che non la rendono estendibile automaticamente alle cripto-attività;
  • non solo la negoziazione o negoziabilità non costituisce un carattere intrinseco delle cripto-attività ma sarebbe comunque difficilmente attuabile tale soluzione in considerazione dello sviluppo di exchange totalmente decentralizzati.
  • Si finirebbe dunque per escludere la possibilità per promotori dell’iniziativa/emittenti (in Italia) di richiedere l’ammissione a negoziazione delle proprie cripto-attività presso un sistema di scambio estero con un impatto molto restrittivo ai danni di un mercato che per definizione è globale.

Non sono mancate comunque opinioni a favore dell’impostazione della Consob, in particolare per quanto riguarda il sistema c.d. di doppio opt-in, per l’offerta e lo scambio, giacché – se venissero superate le suddette criticità – permetterebbe di tutelare i risparmiatori senza tuttavia imporre grandi restrizioni al mercato[4].

Posto che, come detto, per le criptovalute assimilabili a strumenti finanziari o prodotti di investimento assicurativi e pre-assemblati (PRIIP, PRIP e IBIP), la disciplina applicabile è quella prevista nel TUF e nelle direttive e regolamenti emessi dall’Unione Europea, anche qualora le offerte vengano svolte tramite le piattaforme previste nel documento stesso;

per le criptovalute ibride e per le utility la Consob ha prospettato il seguente sistema:

  • svolgere l’offerta senza collocare le criptovalute tramite le piattaforme per le offerte di cripto-attività, assumendo però il rischio che dette criptovalute vengano successivamente qualificate come prodotti finanziari con le relative conseguenze (ossia una assai probabile sospensione dell’offerta da parte della Consob per violazione delle norme in materia di prospetto informativo e di promozione e collocamento a distanza di prodotti finanziari);

oppure

  • collocare e promuovere l’offerta attraverso una piattaforma per le offerte di cripto-attività, con conseguente applicazione della disciplina regolamentare che sarà eventualmente emanata; in tal caso il vantaggio consisterebbe nell’eliminazione di qualsiasi incertezza interpretativa sulla disciplina da applicare;

riguardo allo scambio:

  • far ammettere la criptovaluta emessa nel regime di opt-in in un mercato secondario anch’esso autorizzato dalla Consob (facendola godere di una maggiore affidabilità presso gli investitori);

oppure

  • presso un exchange non autorizzato.

In altri termini, il sistema proposto dalla Consob avrebbe consentito a chi intendesse svolgere un’offerta iniziale di criptovalute di aderire o meno alle nuove regole e ai risparmiatori di accettare o meno, con consapevolezza, se rivolgersi a soggetti e offerte regolamentati.

Il punto maggiormente critico restava quello dell’impatto della definizione domestica di prodotto finanziario sulla qualificazione degli utility token.

Il passato è d’obbligo poiché alla luce del Regolamento della Commissione Europea non appare facile ipotizzare un apparato normativo domestico che – seppur esplicitamente volto a disapplicare la particolare disciplina dei “prodotti finanziari” – dovrebbe comunque applicarsi al medesimo sottostante fenomeno (gli utility tokens).

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NOTE

[1] Cfr. compiutamente in ANDREA B., Annunziata & Conso (2020), “La nuova disciplina francese dei crypto-asset: un imperfetto tentativo regolatorio?”, Diritto Bancario.it

[2] PRISCO M. (2019), “Consob, primo passo per regolamentare le offerte di criptovalute”, la Repubblica e COINLEX

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