
Il regime patrimoniale dei coniugi si può definire come l’insieme delle norme, stabilite dalla legge o da apposita convenzione, che determinano l’applicazione di una particolare disciplina per i beni o i diritti acquistati durante il matrimonio.
In questo approfondimento si tenterà di esplicare le problematiche e le relative soluzioni, anche alla luce dei principali arresti giurisprudenziali sul tema.
SOMMARIO
1. I RAPPORTI PATRIMONIALI
1.1 Comunione legale dei beni
1.2 Separazione legale dei beni
CONCLUSIONE
NOTE
1. I RAPPORTI PATRIMONIALI
I rapporti patrimoniali tra i coniugi possono essere regolati secondo diversi regimi.
In generale, con la celebrazione del matrimonio, si applica automaticamente ai coniugi il regime della comunione legale, a meno che essi scelgano, prima della celebrazione del matrimonio, la separazione dei beni.
I coniugi, se non scelgono il regime di separazione dei beni al momento del matrimonio, possono anche stipulare successivamente una convenzione matrimoniale con cui decidono di optare per la separazione dei beni e, in essa, possono costituire un fondo patrimoniale con cui vincolano alcuni beni nell’interesse della famiglia [1].
Fermo restando che è sempre possibile convertire il regime di comunione adottato al momento della celebrazione del matrimonio, in regime di separazione.
1.1 Comunione legale dei beni
Quando si parla di comunione dei beni tra coniugi è bene, preliminarmente, fare una chiarificazione terminologica, distinguendo tra la comunione legale e la comunione ordinaria dei beni, dove la prima è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei [2].
Nel regime di comunione, ciascun coniuge partecipa agli acquisti e agli incrementi patrimoniali dell’altro, successivi al matrimonio.
Il Codice Civile stabilisce quali sono i beni che costituiscono oggetto della comunione (art. 177 c.c.) e quelli che invece vengono definiti “beni personali” e che ne sono pertanto esclusi (art. 179 c.c.).
Oggetto della comunione, ai sensi dell’art. 177 c.c., sono:
- Gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali;
In riferimento agli acquisti, l’articolo non chiarisce quali siano i diritti suscettibili di cadere in comunione. La consolidata giurisprudenza di legittimità ha affermato che anche i diritti di credito ricadono nella comunione allorquando si tratti di crediti aventi una componente patrimoniale suscettibile di acquisire un valore di scambio [3].
- I frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione;
- i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati;
- le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio. Qualora si tratti di aziende costituite prima del matrimonio, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi.
Diventano immediatamente comuni, e quindi entrano immediatamente nel patrimonio comune dei coniugi, i beni acquistati, anche singolarmente da ciascuno dei coniugi, dopo il matrimonio.
Restano, al contrario, personali i beni di cui ciascun coniuge era già proprietario prima del matrimonio.
L’acquisto, dunque, di un bene da parte di un coniuge durante il matrimonio determina la con titolarità del bene stesso da parte di entrambi gli sposi.
Sono invece esclusi dalla comunione, perché considerati beni personali:
- quelli di proprietà del coniuge prima del matrimonio;
- quelli che il coniuge ha acquistato anche durante il matrimonio per successione o per donazione;
- quelli di uso personale o che sono da considerarsi necessari per l’esercizio di una professione.
L’art 180 c.c. stabilisce che l’amministrazione ordinaria dei beni della comunione (tra cui rientra anche il denaro inteso come disponibilità liquida o come credito risultante dal conto corrente), che attiene alla normale gestione dei beni e finalizzata alla loro conservazione, manutenzione o recupero, e la rappresentanza in giudizio per gli atti ad essa relativi, spettano disgiuntamente ad entrambi i coniugi; mentre gli atti di straordinaria amministrazione che abbiano ad oggetto i beni comuni, ossia quelli che possono portare ad una diminuzione della consistenza del patrimonio o diminuirne il valore complessivo [4], debbono essere compiuti congiuntamente o da uno dei coniugi con il consenso dell’altro [5].
Per quanto attiene alla casa familiare, la Corte di Cassazione ha rilevato che, in sede di valutazione economica della stessa nel giudizio di scioglimento della comunione, il diritto di abitazione conseguente al provvedimento di assegnazione non deve in alcun modo influire sulla determinazione del conguaglio spettante all’altro coniuge, diversamente realizzandosi una indebita locupletazione a favore del coniuge affidatario, che potrebbe, dopo la divisione, alienare il bene a terzi per il suo effettivo valore [6].
Quanto ai creditori, l’art. 190 c.c., infine, stabilisce che “I creditori possono agire in via sussidiaria sui beni personali di ciascuno dei coniugi, nella misura della metà del credito, quando i beni della comunione non sono sufficienti a soddisfare i debiti su di essa gravanti”.
La comunione legale dei beni si scioglie per morte di uno dei coniugi o per una delle cause indicate all’art. 191 c.c. che sono da intendersi tassative. Al verificarsi di una delle predette condizioni non si determina l’attribuzione ai coniugi della proprietà esclusiva sui beni comuni ma la mera cessazione del regime di comunione legale. Pertanto verrà meno il regime di responsabilità sancito all’art. 186 c.c. e gli acquisti successivi compiuti da uno dei coniugi non andranno più a costituire un patrimonio comune [6].
1.2 Separazione legale dei beni
In alternativa alla comunione legale dei beni, i coniugi possono scegliere, al momento del matrimonio, il regime patrimoniale di separazione dei beni.
Esso è un regime convenzionale generale, autonomo e tendenzialmente completo e fornisce una disciplina esaustiva volta a regolare l’intero complesso di rapporti patrimoniali [7].
In regime di separazione dei beni, secondo l’art. 217 c.c., ciascun coniuge rimane titolare esclusivo dei beni acquistati durante il matrimonio cosi come risulta dall’atto di acquisto del bene o dalla determinazione della titolarità del bene acquistato per una sua esigenza personale, ed indipendentemente dal denaro utilizzato, potendo nel caso venire in rilievo un diritto di rimborso da parte del coniuge cui appartenesse il denaro.
La norma prosegue contemplando due ipotesi di amministrazione del patrimonio dell’altro coniuge:
- l’amministrazione con procura, che a sua volta può essere o meno accompagnata dall’obbligo di rendere conto dei frutti;
- l’amministrazione senza procura e dunque contrariamente alla volontà dell’altro coniuge.
Nel primo caso l’affidamento dell’amministrazione dei beni di un coniuge è espressione della volontà di questi che si manifesta tramite la procura.
Se viene convenuto l’obbligo di rendere conto dei frutti,il coniuge rappresentante, ai sensi del secondo comma dell’art. 217 c.c., deve comportarsi come se fosse il mandatario.
Se invece, non è stato pattuito l’obbligo di rendere i frutti il coniuge rappresentante ed i suoi eredi “a richiesta dell’altro coniuge o allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, sono tenuti a consegnare i frutti esistenti e non rispondono per quelli consumati”ai sensi del terzo comma dell’art. 217 c.c.
Nel caso in cui un coniuge non sia d’accordo sull’amministrazione dei beni da parte dell’altro può revocare la procura se ne aveva disposta una anche senza particolari formalità.
Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 217 c.c. “Se uno dei coniugi, nonostante l’opposizione dell’altro, amministra i beni di questo o comunque compie atti relativi a detti beni risponde dei danni e della mancata percezione dei frutti” [8].
Ciascun coniuge ha, quindi, il godimento, l’amministrazione ed il potere di disposizione dei beni di cui è titolare esclusivo. Tuttavia, tale previsione deve essere coordinata con il principio di contribuzione, nel senso che il coniuge proprietario è tenuto ad adempiere a tale obbligo primario nascente dal matrimonio[9].
La scelta in ordine al regime patrimoniale della famiglia, inoltre, non incide sui diritti successori del coniuge superstite. Se infatti, uno dei coniugi muore, l’aver optato per il regime di separazione dei beni, non pregiudica i diritti successori del coniuge rimasto in vita. Questo infatti, all’apertura della successione, assume la qualità di legittimario e di successore legittimo, se non si tratta di successione testamentaria. Allo stesso modo la scelta del regime di separazione dei beni non influisce sulla percezione della pensione di reversibilità che continuerà ad essere percepita dal coniuge superstite.
Con riguardo ai creditori dei coniugi, sebbene vi sia un vuoto normativo a riguardo, si ritiene che, restando separati i patrimoni dei due, i creditori dell’uno possano aggredire soltanto il suo patrimonio e non quello dell’altro coniuge.
CONCLUSIONE
Infine, a conclusione di tale esposizione, possiamo affermare che il regime patrimoniale più conveniente ai coniugi è quello della separazione dei beni, cosi come regolato dagli artt. 179 e ss. c.c., che consente maggiore flessibilità negli acquisti immobiliari.
Infatti, i coniugi in comunione legale dei beni non possono non acquistare unitamente, in quote indivise, e ciò comporta, ad esempio, che i coniugi potranno acquistare un’unica prima casa di abitazione. La comunione poi non protegge dai debiti di uno dei coniugi. Infatti i creditori del marito o della moglie possono pignorare il patrimonio familiare fino a massimo la metà del valore di ciascun bene. Di fatto, però, se il bene non può essere diviso come potrebbe essere per una giacenza sul conto corrente (ad esempio la casa), il creditore metterà all’asta l’intero bene salvo poi restituire l’altra metà al coniuge non debitore. Inoltre, in caso di separazione e divorzio i beni andranno divisi a metà o venduti e il ricavato spartito. Se non si trovano accordi, bisognerà ricorrere al giudice.
Nel caso opposto, ovvero quello della separazione dei beni – invece – i coniugi potranno decidere, qualora ne ricorrano i presupposti, di acquistare due diverse case di abitazione, invocando per ciascuna di esse i benefici fiscali c.d. “prima casa”, con applicazione dell’aliquota agevolata. Quanto alle regole che governano la successione del coniuge, e quindi l’eredità che spetta al marito o alla moglie superstite, non sono, invece, in alcun modo condizionate dal regime patrimoniale prescelto.
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NOTE
[1] Francis Lefebvre, Famiglia e Patrimonio, Ipsoa, 2016, p. 183 ss.
[2] Cfr. Trib. Di Campobasso 11/03/2013, in Leggi d’Italia 2013; Corte di Cassazione, sentenza n. 284 del 1997
[3] Cfr. Corte di Cassazione sentenza n. 9845 del 2012
[4] Cfr. . Corte di Cassazione sentenza n. 17952 del 2007
[5] M. Arienti – C. Rimini, Il regime patrimoniale della famiglia, in Famiglia, patrimonio e passaggio generazionale, 2020, pp. 115 ss.
[6] Cfr. Corte di Cassazione, sentenza n.33069 del 2018
[7] Ibidem, p. 131
F. Lefebvre, cit, p. 211
[8] M. Arienti, C. Rimini, Il regime patrimoniale, cit., p. 147
[9] Cfr. Corte di Cassazione sentenza n. 5420 del 2002