MANTENIMENTO DEI FIGLI – Conseguenze dell’emergenza Covid19

1 Aprile 2021 -

Il mantenimento dei figli è sempre possibile per il genitore non collocatario? Cosa accade nel caso di inadempienza, per di più dovuta all’emergenza Covid?

Nel presente approfondimento si tenterà di fornire una risposta dettagliata alla luce di un quadro normativo reso ancor più caotico dall’acutizzazione della legislazione d’urgenza, sia nazionale sia regionale (talvolta anche in contrasto tra di loro), volta a contenere il contagio da Covid19.

Ciò ha peraltro generato una forte limitazione della libertà individuale e, in alcuni casi, anche una sospensione o contrazione dell’attività lavorativa, con inevitabili effetti negativi sui redditi.

In questo scenario non manca di inserirsi la situazione delle coppie separate con figli minori.

SOMMARIO

1. Natura giuridica dell’obbligo di mantenimento

2. Contrazione del reddito e conseguenze dell’inadempimento

CONCLUSIONE

NOTE

1. Natura giuridica dell’obbligo di mantenimento

L’obbligo di versare il contributo al mantenimento in favore dei figli, che grava sui genitori separati, non ha natura contrattuale, ma si fonda su diritti costituzionalmente previsti, volti a garantire un’assistenza adeguata, da un punto di vista economico, nella fase di disgregazione familiare[1].

Entrambi i genitori hanno il dovere di “mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”, come sancito da norme di rango costituzionale (articolo 30 Cost.) e dalle norme codicistiche rafforzate da recenti riforme legislative[2] dirette a tutelare la prole dalle conseguenze pregiudizievoli delle crisi familiari. Si tratta di un obbligo che sorge per effetto del rapporto di filiazione e non è limitato ai soli figli nati dal matrimonio, in quanto sussiste a carico dei genitori per il solo fatto di averli concepiti.

L’obbligo di contribuzione viene stabilito provvedimento adottato dal giudice in sede di separazione coniugale o rimesso ad accordi liberamente sottoscritti dagli stessi coniugi, e consiste nel versamento di una somma di denaro, suscettibile di revisione, in favore dei figli minori e/o maggiorenni e fino al raggiungimento della loro indipendenza economica.

L’articolo 337 ter c.c. stabilisce, infatti, che il giudice fissa “la misura e il modo con cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli”, sulla base del principio di proporzionalità, considerando “le attuali esigenze del figlio, il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori, la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”.

Il mantenimento della prole non comprende solo il mero obbligo di garantire ai figli gli alimenti, ma anche l’aspetto abitativo, sportivo, sanitario, scolastico e sociale. Tale funzione è stata riconosciuta dalla Corte di Cassazione, secondo cui “costituisce principio consolidato […] che in seguito alla separazione o al divorzio la prole ha diritto ad un mantenimento tale da garantirle un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo, per quanto possibile, a quello goduto in precedenza [3].

Le determinazioni adottate nel corso del giudizio di separazione hanno sempre carattere provvisorio, sono rese “rebus sic stantibus” e legate al persistere dei suindicati presupposti che giustificano il riconoscimento dell’assegno, il cui venir meno o modificarsi in senso sostanziale legittima la parte richiedente a sollecitare una diversa modulazione del diritto e della misura dell’assegno di mantenimento, sulla base di specifiche allegazioni.

Tuttavia, il genitore obbligato che arbitrariamente non adempie al pagamento del contributo al mantenimento per la prole incorre in reato, oltre che in conseguenze di natura civilistica. Infatti, le violazioni degli obblighi di assistenza familiare regolata dagli artt. 570 e 570 bis del codice penale, prevedono una responsabilità penale per chiunque, abbandonando il domicilio domestico o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale o alla qualità di coniuge o chi malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge o chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa, nonché il coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli.

Anche sotto il profilo civilistico esistono delle sanzioni applicabili al genitore obbligato inadempiente. L’avente diritto all’assegno di mantenimento può, infatti, invocare il cosiddetto ordine di pagamento. Secondo l’art. 156 del Cod. Civ., in caso di inadempimento, il giudice può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi (es. il datore di lavoro), tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all’obbligato, che una parte di essa venga versata direttamente agli aventi diritto. Con riguardo alle sanzioni civili, appare opportuno riportare un provvedimento adottato di recente e relativo ai percettori di reddito di cittadinanza.

Il Tribunale di Trani, con sentenza ha infatti chiarito che il reddito di cittadinanza riconosciuto al coniuge che omette di versare l’assegno di mantenimento disposto dal giudice della separazione a favore delle figlie minori, deve ritenersi pignorabile, senza i limiti di cui all’art.545 c.p.c. Per il Tribunale di Trani, infatti, il reddito di cittadinanza può essere utilizzato per “i bisogni primari delle persone delle quali il titolare ha l’obbligo di prendersi cura, anche se non fa più parte dello stesso nucleo familiare” [4].

Da ultimo, la giurisprudenza di legittimità ha concluso che, se è vero che l’affido condiviso privilegia l’intesa tra i genitori in merito alle scelte educative che riguardano i figli, quando i genitori vivono un rapporto che non consente loro il raggiungimento di un accordo, è necessario tutelare il superiore interesse del minore. Pertanto, l’opposizione di un genitore non può cristallizzare l’adozione di un’iniziativa che riguardi un figlio minorenne, specie se di rilevante interesse e neppure è necessario che tale intesa si trovi prima che l’iniziativa sia intrapresa, fermo restando che compete al giudice, ove sia richiesto, verificare se la scelta adottata corrisponde effettivamente all’interesse del minore [5]. 

2. Contrazione del reddito e conseguenze dell’inadempimento

Nell’ambito della grave emergenza pandemica da Covid-19, il bilanciamento della tutela del diritto alla salute individuale e collettiva, con le limitazioni di altri diritti tra cui il diritto di iniziativa economica ed il diritto della libertà di circolazione, ha  generato una limitazione o sospensione dell’attività lavorativa, con susseguente contrazione delle entrate economiche, culminata in una crisi economica tuttora in atto. Tale situazione economica ha inciso anche sulla famiglia e sulle capacità economiche dei coniugi nella gestione della crisi familiare. 

L’orientamento giurisprudenziale, in tema di contributo al mantenimento per il figlio minore, è univoco: lo stato di bisogno di un figlio minore è da presumersi, trattandosi di un soggetto non in grado di procacciarsi un reddito proprio. La conseguenza è che non è possibile sospendere, ritardare o ridurre il pagamento dell’assegno di mantenimento in via unilaterale, semplicemente invocando la crisi economica straordinaria generata dalla pandemia. Tale condotta arbitraria, come prima detto, potrebbe integrare gli estremi del reato previsto e punito dagli artt. 570 e 570 bis cod. pen., oltre a quelli dell’illecito civile extracontrattuale (cd. illecito endofamiliare).

Al contempo, però, è anche vero che il codice civile e la legge n. 898/1970 prevedono che sui genitori incombe sì l’obbligo di mantenere i figli, ma in proporzione delle rispettive sostanze e secondo la capacità di lavoro, professionale o casalingo. L’entità degli alimenti è assegnata, infatti, in proporzione anche delle condizioni economiche di chi deve somministrarli.

La giurisprudenza di merito è stata chiamata a valutare l’incidenza della crisi economico-pandemica sulla consistenza reddituale del coniuge obbligato, derivante dalle misure emergenziali di chiusura adottate per prevenire la diffusione da contagio del virus. Per evitare di incorrere in responsabilità penali e civili, sarà dunque necessario attivare il procedimento giudiziale di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio (o del provvedimento di mantenimento e affidamento della prole, nel caso di genitori non coniugati) e sottoscrivere, quantomeno, un accordo stragiudiziale d’intesa con l’altra parte (beneficiario dell’assegno).

L’art. 156 del cod. civ. prevede che, su istanza di parte, il genitore obbligato, laddove sopravvengano nuovi giustificati motivi, può chiedere al giudice di disporre la revoca o modifica dei provvedimenti relativi al mantenimento, al fine di rideterminare il quantum dell’importo dovuto. Rappresenta, infatti, una “circostanza nuova e sopravvenuta” la sostanziale modifica della situazione reddituale o patrimoniale dell’obbligato o del beneficiario dell’assegno conseguente alla crisi pandemica, e   legittima la richiesta di modifica delle condizioni precedentemente stabilite e inerenti al mantenimento.

Perché la richiesta venga accolta, tuttavia, la parte interessata dovrà provare rigorosamente che la diminuzione del reddito, causata dall’emergenza sanitaria, ha alterato l’equilibrio economico stabilito in precedenza – dimostrando di non disporre di entrate sufficienti a soddisfare le esigenze dell’avente diritto come in precedenza stabilite – sicché si rende necessario adeguare la misura dell’assegno alla nuova situazione economica.

Tale rigorosa prova dell’impossibilità incolpevole a soddisfare le esigenze minime di vita dei figli è necessaria anche per escludere la responsabilità penale [6]

Possiamo concludere affermando che ad avvalorare tali considerazioni è l’esistenza nel nostro ordinamento dell’ istituto dell’impossibilità sopravvenuta, definitiva o temporanea, della prestazione per causa non imputabile al debitore (artt. 1256 e 1258 del Codice Civile), che trova applicazione nel campo delle obbligazioni, allorquando si verifica un evento straordinario ed imprevedibile, non dipendente da un comportamento doloso o colposo del soggetto debitore, che gli impedisce di adempiere totalmente o parzialmente o nei termini pattuiti, la propria obbligazione.

Riconducendo tale ipotesi al genitore onerato del mantenimento, che per via della crisi emergenziale in atto abbia visto senza sua colpa annullata o grandemente ridotta la sua capacità di contribuzione, deve essere considerata legittima ed ammissibile una sua richiesta di vedere almeno ridotto l’ammontare del contributo al mantenimento da versare.

CONCLUSIONE

È opportuno ricordare e sottolineare l’importanza del contributo al mantenimento in favore dei figli minori, al fine di tutelare l’interesse superire della loro crescita. La crisi coniugale non può e non deve influire sulla crescita della prole: il rischio di comprometterne l’integrità psicofisica sarebbe altissimo.

Alla stesso modo l’emergenza sanitaria in corso non deve essere utilizzata come una scusante volta a sottrarsi agli obblighi di assistenza materiale, e ciò anche in relazione alla circostanza per cui la rideterminazione del quantum dovuto in ambito di mantenimento o alimenti potrebbe essere accolta dall’Autorità Giudiziaria solo laddove vi sia una comprovata e incolpevole impossibilità dell’onerato ad adempiere in tutto o in parte all’obbligo posto a suo carico. 

Pertanto, qualora l’emergenza sanitaria avesse compromesso la propria situazione reddituale e patrimoniale, provocando una inevitabile crisi economica, la richiesta di modifica del contributo al mantenimento per i figli minori va inoltrata al giudice e non può mai concretizzarsi in una scelta arbitraria.

Possiamo concludere sottolineando che in uno scenario privo di una normativa nazionale che regolamenti in maniera uniforme la situazione di emergenza ed eccezionalità derivate dalla pandemia da coronavirus, anche le famiglie separate ne pagano il conto e come ultima corazza non rimane che il ricorso agli strumenti giudiziali.

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NOTE

[1] Nicole Vinci, articolo del 02/05/2020

[2] Legge 08 febbraio 2006, n. 54 (recante “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”); legge 10 dicembre 2012, n. 219 (recante “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”) ed il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (recante “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219”).

[3] Cfr. Corte di Cassazione sentenza n. 15065 del 2000

[4] Cfr. Tribunale di Trani, ordinanza n. 6028 del 30/01/2020

[5] Cfr. Cassazione civile sentenze n. 4060 del 15 febbraio 2017 e n. 1070 del 17 gennaio 2018

[6] Cfr. Cassazione Penale sentenza n. 10422 del 2020

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