
Proseguendo l’analisi sin qui effettuata, ci si soffermerà adesso su uno dei fattori più importanti e rivoluzionari della tokenizzazione delle quote societarie, ossia il mercato secondario.
Mentre il mercato primario è costituito dall’offerta delle quote societarie nella forma di ICO (Initial Coin Offering), STO (Security Token Offering), IEO (Initial Exchange Offering) ecc., il mercato secondario nasce alla conclusione della raccolta, quando gli investitori, divenuti azionisti, decidono di rivendere le proprie quote per guadagnare dall’apprezzamento del titolo (il cosiddetto “Capital Gain”).
Le modalità sono del tutto simili a quelle adottate quotidianamente nelle Borse Valori, ove avviene l’incontro di domanda e offerta di titoli delle SPA quotate.
SOMMARIO
1. Caratteristiche del mercato tradizionale
2. Opportunità e rischi della tokenizzazione
CONCLUSIONE
NOTE
1. Caratteristiche del mercato tradizionale
Il mercato delle startup è cresciuto esponenzialmente negli ultimi dieci anni. Tuttavia, non ha ancora un vero mercato secondario e ciò ne ostacola fortemente l’attrattività per gli investitori soprattutto retail[1].
Attualmente un investitore, acquisita una partecipazione societaria, per realizzare la propria “exit strategy”[2] ha queste possibilità:
- vendere la propria quota ad uno dei soci fondatori o ad un nuovo socio che entra nel capitale di rischio;
- attendere l’acquisizione della startup da parte di un’altra società più grande;
- attendere la quotazione presso una Borsa Valori e liquidare la propria posizione sul mercato secondario.
Queste tre operazioni non risultano tuttavia di semplice esecuzione, sia per i costi burocratici (ad es. per gli atti notarili) sia per i lunghi tempi di attesa tra acquisto e rivendita della partecipazione.
Tali problematiche ostacolano la domanda di nuovi acquirenti e quindi il grado di liquidità del mercato.
Al rischio di illiquidità la Consob dedica un intero paragrafo nella pagina informativa in cui si raccolgono le principali domande sull’equity crowdfunding in Italia[3].
Come si legge sul sito, la liquidità di uno strumento finanziario consiste nella sua capacità di trasformarsi prontamente in moneta senza perdita di valore. Essa dipende dall’esistenza di un mercato liquido in cui il titolo può essere scambiato e dalle caratteristiche del mercato stesso.
A parità di altre condizioni, normalmente i titoli negoziati sui “mercati organizzati” (ad esempio, la Borsa Italiana) sono più liquidi dei titoli non trattati su detti mercati. Ciò accade perché la domanda e l’offerta di titoli vengono convogliate in gran parte sui mercati organizzati e, quindi, i prezzi rilevati in quel contesto sono ritenuti indicatori più affidabili dell’effettivo valore degli strumenti finanziari.
Quando invece gli strumenti finanziari non sono negoziati in mercati organizzati può risultare difficoltoso se non addirittura impossibile liquidarli o comprenderne il valore effettivo. Questi strumenti finanziari sono pertanto più “illiquidi” (è più difficile venderli in tempi rapidi e a un prezzo che rispecchi effettivamente il loro valore).
Il mercato secondario delle partecipazioni in startup nell’ordinamento giuridico italiano non è opportunatamente regolamentato. Se ne fa menzione soltanto all’articolo 25-bis del Regolamento sulla raccolta di capitali tramite portali on-line, il quale prevede che sia creata una “bacheca elettronica”, sui portali già iscritti all’albo, per le manifestazioni d’interesse alla compravendita di strumenti finanziari che siano stati oggetto di offerte concluse con successo nell’ambito di una campagna di crowdfunding svolta sul proprio portale.
Occorre sottolineare come, a differenza del mercato primario, sul secondario ci sia un importante momento di riflessione in Europa e nel breve periodo tanti fattori potrebbero cambiare. In questo contesto non è impossibile credere che possano essere per la prima volta espressamente citate le DLT come strumento tramite cui gestire sia l’offerta al pubblico di token sia la successiva fase di compravendita di tali strumenti.
Le infrastrutture distribuite e gli smart contract possono efficacemente gestire la compravendita di asset senza che ci siano intermediari (i portali) per controllare ed effettuare le transazioni. Questo significa che i portali di scambio, gli STO Exchange, possono essere totalmente decentralizzati e, addirittura, non aver alcuna società alle spalle che li gestisca.
L’esempio più famoso di DEX (“Decentralised Exchange”) su Ethereum è Uniswap[4], un portale per lo scambio di ERC-20 totalmente decentralizzato, ossia il cui funzionamento è regolato da smart contract e da nessun altro software o procedimento burocratico “off-chain”.
Chiaramente sono possibili anche sistemi semi-decentralizzati in cui il portale può decidere di automatizzare la compravendita oppure effettuare direttamente le operazioni.
Prevedibilmente nel breve periodo prevarrà, per una questione di responsabilità e gestione delle piattaforme, questo secondo modello di exchange “semi-decentralizzato”. Un caso di studio come marketplace semi-decentralizzato di token è Opensea[5], che non si occupa di compravendita di strumenti finanziari ma di crypto-asset (principalmente token non fungibili come i Kriptokitties).
2. Opportunità e rischi della tokenizzazione
Come si è detto, sebbene ne venga largamente riconosciuto il potenziale, il mercato secondario delle startup nel mondo non è ben sviluppato a causa della sua scarsa liquidità.
Tuttavia, ci sono diversi dati che indicano la possibilità di assistere, in futuro, alla crescita esponenziale di questo settore:
- la maggior attenzione verso startup e PMI posta dalle Borse Valori, le quali stanno creando dei mercati specifici per permettere a tali entità di effettuare una IPO con minor tempi e costi. Con tale fine è nato il mercato AIM Italia nella Borsa Italiana;
- il crescente numero di “Unicorns” (startup valutate oltre 1 miliardo di dollari) nel mondo. Nel 2020 sono ben 500, con una valutazione complessiva di 1500 miliardi di dollari[6]. Gli investitori (per lo più fondi di private equity) necessitano di liquidare parte delle proprie posizioni prima della IPO. Infatti, possono passare diversi anni tra il primo investimento e l’exit finale con cui gli investitori escono dalla struttura societaria. L’esempio più famoso è stata la vendita delle quote di Facebook in fase di pre-IPO. Nel 2009, ossia tre anni prima della quotazione presso il NASDAQ, alcuni soci vendettero le proprie quote (46 $ cadauna) su “SharePost”[7], ossia una piattaforma per il mercato secondario del private equity.
L’ultimo punto, il mercato secondario del private equity, è quello che maggiormente dimostra la necessità di vendere le proprie quote da parte degli investitori professionali ed istituzionali nel momento in cui la startup aumenta di valore.
Nel 2019, i volumi di scambio delle quote di società non ancora pubbliche ammontavano a 88 miliardi di dollari. Il trend dal 2002 è fortemente crescente ma Greenhill Cogent (la società autrice del report) stima che sarà interrotto nel 2020 per la crisi finanziaria causata dalla pandemia globale.

In questo contesto di potenziale espansione, la tokenizzazione potrebbe accelerare la crescita del mercato grazie a diversi benefici conseguenti alla sua adozione:
- i costi molto bassi delle operazioni di scambio. Se si escludono eventuali commissioni per la piattaforma[8], l’unico costo è costituito dalla spesa (in Ether) da pagare alla rete di Ethereum. Nonostante tali costi stiano diventando altamente variabili da prevedere (a causa delle numerose operazioni quotidiane sulla rete), normalmente basterebbero pochi centesimi di euro per effettuare l’operazione;
- la velocità dell’operazione. Come nel caso precedente, se attualmente la rete è abbastanza “satura” di operazioni ed esse vengono processate con tempi più lunghi, normalmente sarebbero necessari pochi secondi per trasferire un token ERC-20 (o sue estensioni) da un wallet ad un altro;
- l’assenza di limiti geografici. Dal punto di vista tecnico il token può essere venduto in tutto il mondo senza difficoltà. Questo è quello che accadrebbe se si potessero scambiare tali asset su Exchange totalmente peer-to-peer. Dal punto di vista legale e burocratico, invece, sono presenti attualmente molte più barriere;
- la sostituzione dei classici registri elettronici con la Blockchain. Se opportunamente adeguata alle esigenze dei portali di crowdfunding (o delle società Monte Titoli per le quotate), la Blockchain può risultare più efficiente e sicura nella gestione della compravendita di quote. Con essa potrebbero risolversi tutte le possibili questioni burocratiche che attualmente frenano la creazione di un mercato secondario per le startup.
Avendo descritto le opportunità offerte da un mercato secondario “tokenizzato”, si riportano anche le eventuali criticità per fornire un’analisi esaustiva:
- complessità tecnologica. Le tecnologie Blockchain e smart contract sono ancora sconosciute a gran parte della popolazione mondiale. Questo implica la non immediata comprensione (e adozione) di strumenti come i wallet, i token o gli Ether per effettuare le operazioni. Ci sono ancora numerosi passi da compiere per offrire applicazioni con una user experience talmente semplificata da non creare alcun ostacolo all’utilizzo anche per i meno abili in informatica;
- la scalabilità di Ethereum. Ad oggi la principale Blockchain per le applicazioni di business, Ethereum, non ha un elevato grado di scalabilità. Infatti, all’aumentare delle transazioni sulla rete, aumentano costi e tempi per eseguire qualsiasi operazione. Al fine di rendere la propria rete più scalabile, l’Ethereum Foundation ha recentemente concluso il passaggio dal meccanismo di consenso Proof-Of-Work (tipico di Bitcoin) al Proof-Of-Stake. Il passaggio è stato talmente importante che si è parlato di una nuova “Ethereum 2.0”;
- il rischio di un mercato troppo volatile. L’alta liquidità di un ipotetico mercato secondario potrebbe portare un’incredibile volatilità per le quote delle startup, che nella maggior parte dei casi sono costituite da piccole realtà imprenditoriali dall’altissimo rischio di fallimento (tra il 75% e il 90% delle startup falliscono[9]). Una soluzione potrebbe essere, almeno inizialmente, ridurre il numero di possibili investitori autorizzati a scambiare le azioni. Eliminando gli investitori retail rimarrebbero soltanto fondi di VC, business angel e altri investitori “professionali”. Ovviamente una tale restrizione non si potrebbe porre su un mercato peer-to-peer senza un ente di controllo centralizzato. Altra ipotesi potrebbe essere quella di individuare precise caratteristiche reddituali e patrimoniali (come avviene per la quotazione in Borsa) per concedere l’accesso ai portali alle startup.
Nei prossimi anni, conclusa la crisi finanziaria e regolamentato il mercato, si vedrà l’effetto della tokenizzazione sul mercato primario e secondario delle startup. Per l’Italia e per l’intera Unione Europea questa può essere un’occasione per attrarre capitali e divenire il nuovo polo dell’innovazione internazionale.
CONCLUSIONE
Nel prossimo approfondimento si fornirà un quadro dell’attuale regolamentazione internazionale in materia di ICO, STO e Stablecoin.
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NOTE
[1] Sono definiti “retail” tutti i piccoli investitori non istituzionali o professionali.
[2] Si definisce “exit strategy” la strategia con cui l’investitore vende tutta la sua quota e guadagna un ammontare multiplo di quanto investito inizialmente. Ad esempio, se si investe 100 euro nella startup X la exit strategy può essere ipotizzare di vendere la propria quota ai soci fondatori dopo 3 anni ricavandone un ammontare 10 volte superiore al versato inizialmente.
[3] Si veda CONSOB, “Cosa devi assolutamente sapere prima di investire in una “start-up innovativa” tramite portali on-line” > “Il rischio di illiquidità”
[6] Fonte CB INSIGHTS, “The Complete List Of Unicorn Companies”
[7] Fonte THE ELEPHANT, “The rise of the pre-IPO secondary market”
[8] Commissioni non presenti su exchange completamente decentralizzati.
[9] Si veda NETWORKDIGITAL360, “Fallimento della startup: 20 autentici motivi”