
Lo sviluppo di criptovalute decentralizzate sta modificando la strutturazione del potere. Il corso forzoso lascerà rapidamente spazio alla token economy.
INTRODUZIONE – Valute digitali contro l’evasione
Su IlSole24Ore del 14 giugno 2019, Marcello Minenna, economista italiano, docente non accademico all’Università Bocconi, Lecturer alla London Graduate School of Mathematical Finance e responsabile dell’ufficio Analisi Quantitative e Innovazione Finanziaria presso la CONSOB, avanza un’ipotesi di moneta digitale (non-cripto) per combattere l’evasione.
Minenna parte da due dati oggettivi:
la moneta cartacea circolante nel mondo è intorno al 10% del totale e nonostante qualifichi un rapporto diretto tra utente finale e banca centrale, quest’ultima non può ricostruirne l’uso;
nel caso delle cripto-valute la registrazione dell’operatività esiste e avviene su blockchain. Purtroppo, però, tentare una sua decodifica è come cercare il contenuto di una cassetta di sicurezza senza conoscere la banca, l’indirizzo e senza avere la chiave.
“A riprova di ciò”, dice Minenna, “ci sono gli scarsi risultati degli interventi per motivi fiscali o di controllo dei capitali delle autorità nazionali statunitensi e cinesi”.
Partendo da queste considerazioni, secondo l’economista, “nulla vieterebbe di avere una valuta digitale non-cripto che permetta di tracciarne l’uso in maniera indelebile: una chimera per chi vuole combattere l’economia sommersa”.
Un ostacolo a ciò è innanzitutto, proprio quell’approccio attendista delle autorità nella regolazione del settore che sta avendo il suo culmine già nella definizione delle criptovalute: è valuta o prodotto finanziario? Questa indecisione secondo Minenna ha avuto l’unico effetto di ritardare l’ingresso di operatori finanziari e investitori istituzionali (cioè soggetti vigilati).
Sono palesi infatti il timore che le criptovalute possano destabilizzare il sistema finanziario e l’esigenza di un coordinamento mondiale, “dato che pensare a divieti o regolamentazioni restrittive solo su base nazionale sarebbe anacronistico”.
E così Minenna avanza un’ipotesi: “per venirne fuori si potrebbe muovere il primo passo su quel 10% di contante ‘cripto’ in circolazione e trasformarne in maniera graduale una parte in valuta digitale trasparente di Stato o di banca centrale. I cittadini dell’Eurozona potrebbero utilizzare ad esempio un portafoglio digitale con e-euro gestibili attraverso lo smartphone senza conto corrente bancario”.
All’interno di questo circuito “la banca centrale di un’area valutaria potrebbe offrire il servizio di valuta digitale anche ad altre aree valutarie. Ad esempio la Bce potrebbe offrire e-dollari così come la Fed potrebbe offrire e-euro; anche uno Stato membro dell’Eurozona potrebbe intervenire, digitalizzando ad esempio la moneta metallica prima per i suoi cittadini e poi per tutti i residenti dell’Eurozona e in prospettiva anche al di fuori di questi confini. Una soluzione con impatti positivi sulla lotta all’economia sommersa ed anche sull’uso delle monete di taglio inferiore sia in termini di costo del conio che di dispersione d’uso”.
E non si ferma qui. Secondo il docente, si riuscirebbe a garantire un maggiore coordinamento tra le banche centrali magari utilizzando inizialmente come garanzia la valuta di riserva del Fondo Monetario Internazionale (gli Special Drawing Rights o SDR), il cui sviluppo è rimasto limitato ad alcune convenzioni internazionali relative al trasporto aereo o marittimo.
È quindi chiaro come Minenna ritenga la tecnologia blockchain e le valute digitali, oggi viste come un rischio, un’opportunità per rilanciare la migrazione dell’architettura monetaria degli SDR verso il Bancor di Keynes. “Come il Bancor, si tratterebbe di una valuta globale in grado di ripianare efficacemente gli squilibri delle bilance dei pagamenti dei vari Stati ma sarebbe digitale, trasparente e tracciabile sino al dettaglio di ogni singola operazione”.
In questa chiave, secondo l’autore, un progetto come Libra non apparirebbe più come un problema. Anzi. Si andrebbe verso un World Wide Digital Coin.
COMMENTO – Addio al corso forzoso, è giunto il momento della token economy
L’articolo del prof. Minenna pone degli interessanti spunti di riflessione e impone una risposta ampia e dettagliata che può essere rintracciata nella collana di articoli “Il (dis)ordine mondiale” da me recentemente pubblicati su Crypto Avvocato e Opinio Juris – Law & Politics Review.
Ivi basti considerare l’aspetto più importante che sembra essere sfuggito all’analisi del docente, ossia che, se le istituzioni vogliono continuare a mantenere un certo grado di controllo sull’economia, per mezzo delle valute, non possono più contare sulla loro forza impositiva ma devono “calarsi” a livello di qualsiasi altro fornitore di servizi e prospettare vantaggi agli utenti.
La strutturazione del sistema capitalistico, infatti, ha subito importanti mutamenti negli ultimi anni e, attualmente, prevede in ordine di importanza:
– le Banche Centrali;
– i grandi provider della Rete (su cui circola la moneta);
– una sterminata sequela di intermediari finanziari;
– le autorità governative che da essi dipendono[1].
A destabilizzare i piani dei provider di porsi sulla cuspide di questa struttura piramidale, centralizzata e privata, contrapponendovene una decentralizzata, distribuita e pubblica, è intervenuto Bitcoin, ossia un protocollo informatico che ha aperto la via ad un nuovo modo di intendere e gestire la moneta, e il cui uso nel tempo è divenuto quello di riserva di valore digitale.
Ciò ha peraltro spalancato la porta alla diffusione di ulteriori asset[2] e, dunque, destato preoccupazione per la capacità di deflagrare l’impostazione del sistema di potere fin qui delineato; in particolare i rapporti fra le super potenze, nella misura in cui una di esse (per mezzo delle proprie aziende), acquisisse il controllo di un valore di scambio in grado di imporsi a livello globale, al di sopra della moltitudine di valute fiat.
Da qui la creazione di numerosi protocolli monetari ancorati a chat di messaggistica, social media e e-commerce, in grado di aggirare i residui vincoli politici e bancari.
Ci si riferisce evidentemente a LIBRA, Google Pay, Amazon Pay, IBM, Microsoft (USA), VK coin e Telegram Ton (RUSSIA), We Chat pay, Alibaba, Bitcoin (CINA) ecc.; oggi non si assiste semplicemente all’egemonia delle multinazionali ma alla nascita di un oligopolio monetario che consegnerà alle super potenze che in questi anni hanno snaturato l’info sfera – facendola divenire la quinta sfera di applicazione delle proprie politiche imperialistiche – un data power senza precedenti e la capacità di determinare il corso di intere nazioni.
Gli USA hanno perso la corsa con la Cina all’accaparramento di “terre rare” e anche il loro dominio sui software e i dati potrebbe essere messo a rischio dall’emergere di numerosi competitor, a vario titolo agenti secondo i meccanismi della token economy (si pensi altresì a Voice, il social network basato sul protocollo EOSIO), giacché la reward psicologica su cui si fondano piattaforme “tradizionali” come Facebook potrebbe da sola risultare insufficiente a mantenere l’utente al loro interno.
Urgeva un drastico cambio di marcia, una stablecoin che:
- andasse oltre il dollaro[3], dando la possibilità alle aziende di influenzare direttamente l’economia degli altri stati senza intermediazione bancaria;
- si ponesse da contraltare a Bitcoin;
- spazzasse via la concorrenza delle numerose criptovalute minori (cc.dd. altcoin) sviluppate in questi anni per agevolare pagamenti e trasferimenti internazionali istantanei.
È molto probabile che per consolidare ulteriormente il proprio dominio, Facebook implementi un sistema di token economy con LIBRA, ripagando cioè gli utenti per la cessione dei propri dati finanziari attraverso i proventi generati dalle pubblicità inserite sulle piattaforme collegate. Più che una probabilità, invero, parrebbe una certezza se si considera l’imminente lancio dell’app Facebook Study, finalizzata proprio a remunerare gli utenti per il consenso alla raccolta di informazioni:
- sulle applicazioni di terze parti installate sullo smartphone;
- sul tempo trascorso su queste app;
- sulla nazione, il device e il tipo di rete usata;
- sui nomi delle attività compiute su queste app (che potrebbero cioè mostrare le funzioni che gli utenti stanno adoperando)[4].
Per i paesi tecnologicamente semi periferici, criptovalute o no, le prospettive derivanti dal disavanzo tecnologico non potranno che accelerare la perdita di discrezionalità politico – economica già iniziata parecchi anni addietro[5] e la definitiva deviazione dei modelli di welfare, verso una strutturazione confacente alle super potenze tecnologiche, dunque neo liberista.
ll mutamento dei rapporti di (cyber) forza fra le super potenze potrebbero inoltre determinare delle importanti variazioni di allineamento strategico giacché, non essendo i suddetti paesi tecnologicamente in grado:
- né di fare fronte all’evoluzione dell’economia al di fuori dei tradizionali canali bancari;
- né tanto meno di fronteggiare l’anonimato delle transazioni e l’indipendenza degli utenti nella gestione del proprio conto in criptovalute (c.d. wallet);
sarebbero inevitabilmente costretti a ricadere nella sfera d’influenza della suddetta Super Potenza o, per meglio dire, dei rispettivi colossi informatici.
Infatti, mentre Bitcoin ammanta l’utente e le relative transazioni di un c.d. pseudo anonimato, criptovalute come Monero conferiscono un anonimato tanto più forte quanto sono elevate le commissioni che l’utente è disposto a pagare sulla singola transazione. Ciò, unitamente alla gestione personale del wallet nel quale sono contenute le criptovalute, rende estremamente difficile, per chiunque non giochi in ruolo determinante nella strutturazione hardware e software di Internet, aggredire le finanze dei criminali e, più in generale, obbligare al pagamento delle imposte[6].
Non è con le regolamentazioni che i suddetti paesi[7], fra cui rientra evidentemente l’Italia, possono sperare di non sprofondare nel buco nero da cui sono attratti; né tanto meno con disperate soluzioni economiche, come ad esempio l’applicazione dell’IVA paventata dall’ex ministro Tremonti, conseguente ad una valutazione di LIBRA come bene digitale e non valuta[8], giacché costituirebbe soltanto un blando tentativo per rimpinguare le casse di uno Stato, scippato barbaramente dell’indipendenza politico-economica.
I colossi analizzati, infatti, sono ormai da tempo non semplicemente nella posizione di infischiarsene di limiti e vincoli ma anzi in quella di eliminarli facendo pressione sugli stati, nelle più svariate forme.
L’unico modo per paesi come l’Italia di opporsi a modelli tecnologici fondati sulle più bieche dinamiche del capitalismo, è una rapida digitalizzazione di stampo socialista ossia la realizzazione di un sistema blockchain based nazionale ibrido[9] che faccia leva sullo spirito patriottico che pur resiste indomito nella popolazione e condivida con essa i profitti derivati dal suo utilizzo. Un sistema di digital payment, Internet advertising, e-commerce e data providing, in grado di inglobare i valori nazionali rientranti a vario titolo nel c.d. Brand e fare inter operare le aziende tecnologiche che vi stanno lavorando con propri specifici progetti.
Per l’Italia, ciò si tradurrebbe nell’unificare il mercato delle locazioni turistiche, la galassia dei prodotti made in Italy, l’universo degli immobili pubblici fatiscenti, da ristrutturare con campagne di real estate crowdfunding ecc.
Il Brand Italia è il terzo per valore mondiale, dopo CocaCola e Visa, con una stima approssimativa di 450 miliardi di € l’anno[10].
Si immagini di riuscire ad abbandonare posizioni fondamentaliste su cosa sono e cosa non sono blockchain e criptovalute, le dispute barbine fra fazioni politiche ormai totalmente sconnesse dalla realtà globale, e realizzare una valuta digitale complementare all’euro, con rapporto 1 a 1, utile a dividere con i cittadini i proventi derivanti dallo sfruttamento univoco del Brand Italia.
Non si riavvierebbe semplicemente l’economica, la si rivoluzionerebbe.
Da tempo, su Cypto Avvocato, io e gli altri professionisti con cui collaboro, evidenziamo la necessità che l’Italia elabori un modello token economico a vantaggio dei cittadini e delle imprese, per non restare schiacciata dalle super potenze che stanno con scaltrezza muovendo le loro pendine sullo scacchiere globale[11].
I progetti a livello nazionale esistono ma mancano pressoché tutti di una visione macro sistemica e di soluzioni economiche, o potremmo dire di “social engineering”, che spingano gli utenti a collaborarvi.
Vedremo se il progetto Blockchain del MISE prospetterà idee innovative in tal senso[12].
Crypto Avvocato nel frattempo continuerà ad impegnarsi nella divulgazione e nell’elaborazione di progetti a supporto dell’economia del Paese, con la speranza di incrociare la via del MISE.
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NOTE
[2] Per un’analisi dettaglia delle criptovalute si rimanda alla relativa Collana di approfondimenti
[3] Come ipotizzato mesi addietro da Ted Livingstone, fondatore di Kik. Cfr. LUGANO F. (2019), “Facebook coin sostituirà il dollaro USA”, Cryptonomist
[4] Cfr. BEN-ZEDEFF S., Facebook product manager (2019) “Introducing Study from Facebook”, Facebook News Room
[6] Senza considerare le implicazioni sotto il profilo del riciclaggio dei proventi di attività criminose attraverso il mining. La costituzione di una c.d. mining farm in paesi che attualmente non prevedono regole specifiche e controlli in materia, ma anzi incentivano gli investimenti nel settore, permette infatti direttamente l’integration dei proventi di attività criminose nell’economia (rendendo superflue le consuete due fasi preliminari del riciclaggio ossia il placement e il layering).
Per approfondimenti si rimanda al complesso studio effettuato dal Prof. Dr. HOUBEN R., SNYERS A. (2018), “Cryptocurrencies and Blockchain – Legal context and implications for financial crime, money laundering and tax evasion”, European Parliament
[7] A distanza di poche ore dall’annuncio ufficiale di LIBRA, il ministro delle finanze francese Bruno Le Maire e il deputato tedesco del Parlamento europeo Markus Ferber, hanno chiesto al gruppo dei sette governatori delle banche centrali di preparare, in vista del loro incontro di luglio, un rapporto sul progetto blockchain del social network, affinché possa essere sottoposto a controllo regolamentare. A radio Europa 1, Le Maire ha detto: “è fuori discussione che LIBRA diventi una moneta sovrana”. “Non può e non deve accadere”. Cfr. MARSH A. (2019), “France Calls for Central Bank Review of Facebook Token”, Bloomberg
[9] Modello di blockchain esplicato in BERTOLINI G. (2019), “CRIPTOVALUTE – DLT, blockchain e criptoeconomia”, Crypto Avvocato
[10] Cfr. NOCI G. (2014), “Se Made in Italy fosse un brand sarebbe il terzo al mondo”, IlSole24Ore
[11] BERTOLINI G. (2019), “FISCO DIGITALE E TOKEN ECONOMY: nuove soluzioni contro l’evasione”, Crypto Avvocato
BERTOLINI G. (2019), “E se a LIBRA opponessimo ITACOIN?”, Web Radio Ius Law
[12] Gian Luca Comandini: “Rispetto al timing previsto, il documento arriverà sul tavolo del Mise con qualche settimana di ritardo. Contiamo di consegnare il documento tra due o tre settimane. Il Governo poi studierà il nostro schema, composto da circa duecento pagine, e deciderà se seguirlo o modificarlo. (..) Il Governo dovrà anche valutare se sfruttare la rete decentralizzata globale oppure costituire una propria infrastruttura. In questo caso ci si dovrà concentrare sullo sviluppo di progetti innovativi riguardanti la blockchain, e l’Italia su tale fronte ha molte carte da giocare (…)”. Cfr. compiutamente su Notizie Tiscali